Le canzoni di questo fecondo periodo artistico, sono canzoni d’amore – d’altronde, al tempo sarebbe stato difficile e rischioso dire di altro – ma provocarono una rivoluzione sociale fino ad allora inedita: mai l’arte, in nessun tempo precedente, era uscita dai circoli intellettuali e dai salotti colti per essere acclamata anche dal popolo con tanto sincero trasporto. Non sempre gli artisti che le crearono erano napoletani ma AVVENNE A NAPOLI che disegnarono una “cultura del sentimento” in cui tutt’oggi si identifica la sensibilità nobile del popolo napoletano, AVVENNE A NAPOLI che disegnarono un modello alto di umanità, tutt’oggi di auspicabile riferimento.
Nel tempo, riascolterò molte volte le registrazioni rare sopravvissute in dischi graffiati e malandati: le interpretazioni magiche di Gennaro Pasquariello, quelle magistrali di Francesco Albanese, quelle più famose e passionali di Enrico Caruso … capirò da loro che al di là di ogni tecnica, di ogni talento, di ogni estensione vocale, il canto è espressione della vita che ci passa dentro; che “certe note” non sono da cercarsi nella “gola” perché non ci saranno mai se non le abbiamo vissute e se il nostro cuore non le ha comprese. Il successo straordinario e planetario di questo repertorio con cui si sono misurati i più grandi cantanti in tutto il mondo, dovrebbe essere esaustivo nel tributargli la giusta gloria, eppure non è così! Ancora oggi, e ancor di più nella confusione culturale del nostro tempo, permane un misto di storia e leggenda popolana che confonde, offende, deturpa, saccheggia impropriamente questi artisti illuminati e che ci hanno illuminato. Dobbiamo a loro la ”forma canzone” così come ancora oggi viene praticata nella musica moderna; dobbiamo a loro la nascita “dell’interprete” che evolve il canto operistico impostato dalle scuole dell’epoca affinché il cantante disegni e faccia rinascere nella voce le emozioni del poeta; dobbiamo a loro la struggente eleganza di sentimenti che si genera nel cuore degli uomini quando la melodia di un musicista eccelso incrocia i versi di un poeta sommo: Fenesta vascia, Era de maggio, Luna nova, ‘A vucchella, I’ te vurria vasa’, Uocchie c’arraggiunate, Voce ‘e notte, Passione, Serenata napulitana, Silenzio cantatore, Maria Mari’…
Sono seduto in un pub di provincia, di quelli angusti, con poco spazio e poca aria; non è il massimo ma, va detto, che è uno di quei posti dove è ancora possibile ascoltare buona musica. Stasera suona Julian Oliver Mazzariello. Amo il suo pianismo anglo-italiano, raffinato e geniale; mi piace sentirlo sul palco mentre suoniamo insieme la mia musica ma anche andare ad ascoltarlo quando suona la sua. Durante il concerto, dopo un preludio pregevole e complesso, riconosco la melodia di “Accarezzame” una canzone napoletana (testo di Nisa, musica di Pino Calvi) pubblicata nel 1955. Lui non era ancora nato. Nascerà nel 1978 a Welwyn Garden City nell’Hertfordshire, a pochi chilometri da Londra , immerso in una cultura lontana mille miglia dalla nostra. La nostra la conoscerà nella tarda adolescenza e se ne innamora, al punto che deciderà di farla sua, di trasferirsi in Campania, dove tutt’oggi vive, a Cava De’ Tirreni. Mi sorprende la sua esecuzione: suona più attento e rispettoso, consapevole di una storia leggendaria che non si è ripetuta in nessun tempo, in nessuna parte del mondo. La sua tecnica pianistica è originale, internazionale, ma l’emozione che diffonde sembra non provenire dalle sue agilissime mani, sembra provenire da altri luoghi: è napoletana!
… Quando torno a casa, sono ancora immerso in quelle atmosfere … provo a risentire le emozioni di quei poeti, di quei musicisti, di quegli interpreti che le hanno create. Mi piacerebbe cantarle così come loro le hanno sentite, attente solo a scolpire la vita che ci passa dentro, naturalmente ribelli a ogni manierismo convenzionale. E’ il mio omaggio ai Maestri che mi hanno insegnato l’Arte dei Sentimenti: perché le emozioni hanno un suono preciso, hanno parole precise ma, per riconoscerle, bisogna impararle.
Eduardo De Crescenzo